Di straordinario interesse è la recente pronuncia della Sez. I^ della Cassazione Penale ( del 12.09.2016) secondo cui il linguaggio da ” caserma” del superiore nei confronti del subordinato integra il reato militare di abuso di autorità con ingiuria ai sensi dell’art. 196 c.p.m.p.
In base a tale sentenza talune espressioni volgari, purtroppo divenute di uso comune nel linguaggio corrente, assumono un inequivoco contenuto di offensività qualora si tenga conto della posizione di supremazia di chi le pronuncia, in quanto in tal caso esse sono rivolte da un superiore nei confronti di un inferiore e conseguentemente, proprio in considerazione della natura plurioffensiva del reato di cui all’art. 196, comma 2, c.p.m.p, risultano così violate le regole di disciplina che devono ispirare i rapporti gerarchici.
Secondo i giudici di legittimità proprio la posizione di supremazia dell’offensore rispetto alla persona offesa impedisce che possano essere considerate prive di connotazioni lesive simili espressioni, giacché in detto contesto “le stesse riacquistano il loro specifico significato spregiativo”.
Non assume alcun pregio al riguardo l’affermazione, che era invece stata sviluppata dalla difesa dell’imputato, volta a rimarcare che dette frasi erano state pronunciate per censurare presunte inadempienze dell’inferiore.
Al riguardo occorre osservare come ormai da tempo la giurisprudenza abbia disatteso le impostazioni dirette a restringere l’ambito di operatività del reato di abuso di autorità mediante ingiuria ad inferiore, sulla base di inaccettabili considerazioni tendenti ad evidenziare la sussistenza di un supposto “gergo di caserma” utilizzato dai superiori, e a sostenere che l’ animus corrigendi potrebbe escludere la configurazione del delitto in oggetto.
Come era stato rilevato in un significativo precedente in materia, bisogna al contrario riconoscere che l’utilizzo da parte del superiore di espressioni ormai divenute frequenti in determinati ambienti concreta il delitto di abuso di autorità mediante ingiuria qualora esse risultino comunque connotate da “una capacità offensiva del prestigio e della dignità, in particolare sociale e intellettuale, del soggetto passivo” .