Un sottoufficiale dell’ Esercito si reca dall’avvocato militare dopo aver ricevuto la notifica di un avviso di garanzia della Procura della Repubblica presso il Tribunale Militare per aver, in più occasioni, fatto un uso indebito per fini non istituzionali del pc in dotazione ed in particolare arrecando danno alla p.a. avendo più volte contattato siti a carattere pornografico, con ciò distraendo le proprie energie dalle quotidiane occupazioni lavotative.
Spaventato intende sapere quale sono le conseguenze di siffatta condotta anche, con riguardo, alle possibili conseguenze disciplinari.
Vengono in rilievo al riguardo 3 possibili ipotesi: 1) la contestazione come nel caso di specie dell’art. 215 c.p.m.p. ( peculato militare punito con una pena da due anni a dieci anni) ; 2)la contestazione del c.d. peculato d’uso (art. 314 co.2 c.p. pena da sei mesi a tre anni); 3) la contestazione del reato di abuso di ufficio art. 323 c.p. pena da uno a quattro anni.
Il vero rischio è la conferma del reato più grave – osserva l’avvocato militare – ovvero quello di peculato militare. In questo caso, infatti, la condanna anche in primo grado potrebbe comportare ai sensi della l.97/01 e ss.mm. anche la sospensione dall’impiego ( sebbene letteralmente prevista per il peculato ordinario) a prescindere dalla concessione o meno della sospensione condizionale della pena . In caso di condanna definitiva ai sensi dell’art. 29 c.p.m.p. ( ove la pena fosse superiore ai tre anni) opererebbe di diritto la sanzione accessoria della rimozione dal grado con cessazione del rapporto di servizio.
Tale rischio potrebbe comunque sussistere anche in caso di condanna ad una pena inferiore, magari a pena sospesa, ma in tale caso la rimozione dal grado opererebbe all’esito di un giudizio disciplinare con valutazione discrezionale della p.a. in ordine al giudizio di meritevolezza del grado ( e comunque impugnabile in sede di Tribunale amministrativo regionale).
Ove naturalmente si riuscisse a dimostrare che l’uso del p.c. è stato “momentaneo” potrebbe operare la derubricazione del reato nel c.d. ” peculato d’uso”: in tale situazione sarebbe sicuramente minore il rischio di un’estinzione del rapporto di impiego non essendo prevista tale sanzione dall’art. 32 quinquies del c.p. ( che si riferisce al peculato ordinario): in tale caso anche in caso di condanna penale, con il riconoscimento del beneficio della sospensione della pena, in sede disciplinare sarebbe preclusa ogni estinzione del rapporto di impiego con applicazione della più rigorosa sanzione disciplinare di stato.
In caso viceversa la contestazione fosse quella di abuso di ufficio le considerazioni potrebbero essere ancora più favorevoli: infatti ove non vi sia danno patrimoniale per la p.a. ( esempio un contratto a tariffa c.d. flat ) il militare in sostanza risponderebbe solo di una condotta di sviamento dalle funzioni istituzionali: in tali casi la possibilità di una soluzione favorevole del processo aumenterebbero significativamente essendo di difficile configurazione, e prova, il reato di abuso di ufficio.
Aspetto non secondario , e anche quello dell’attrazione del reato di peculato d’uso e d’abuso di ufficio nella sfera del Tribunale ordinario con significativo allungamento dei tempi processuali ( è notoria la celerità dei Tribunali militari).
Giova, comunque, osservare che in caso di contestazione di siffatta fattispecie appare ipotizzabile un danno erariale con ragionevole protrarsi della questione anche innanzi alla Corte dei Conti per rispondere di danno erariale: anche in tale caso è evidente che l’uso di una linea telefonica istituzionale c.d. ” flat” renderebbe più difficile ipotizzare un danno patrimoniale cagionato alla p.a., in assenza di una prova di maggior addebito di scatti telefonici.